martedì 18 novembre 2008

Il cardinale Scola e la Chiesa come soggetto secolare


In occasione della XXIII assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici il cardinale patriarca di Venezia ha tenuto una relazione intitolata "La teologia del laicato alla luce dell'ecclesiologia di comunione: l'identità del fedele laico". Ne pubblichiamo un estratto.

di Angelo Scola

L'identità del fedele laico rispecchia la natura ellittica della Chiesa. Essa, infatti, può essere definita sempre e solo a partire dalla considerazione di due fuochi: in relazione a Cristo e alla sua missione e in relazione al mondo, nel quale è immersa e a cui è continuamente inviata. Questa osservazione è di primaria importanza perché permette di evitare il rischio che, storicamente, ha comportato gravi malintesi di pensare la Chiesa come una realtà a sé stante, definibile a priori quasi fosse costituita in sé prima di ogni rapporto ad "altro". Il soggetto ecclesiale, invece, è strutturalmente intrecciato alle indeducibili vicende della storia.
Parlando di natura ellittica della Chiesa vogliamo mettere in evidenza l'impossibilità di definire in astratto chi è la Chiesa a prescindere dal suo costitutivo rapporto con il mondo, cioè dalla sua dimensione secolare. Proprio in forza di questa sua natura ellittica è necessario affermare l'inscindibilità dei due fuochi costitutivi della Chiesa: il suo rapporto con Cristo e la sua relazione al mondo. Questa insuperabile polarità non altera l'unità e l'identità del mistero della Chiesa. Si tratta di una unità-duale, non di una dualità unificata. L'unità precede pertanto la dualità. Il soggetto Chiesa vive la sua caratteristica dimensione secolare senza venir meno alla sua identità fondamentale.
La Chiesa, infatti, "è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino" (Benedetto XVI, Discorso alla Curia Romana, 22 dicembre 2005). L'allora Arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla, si riferiva a questo sviluppo lungo la storia quando descriveva l'essenza pastorale della Chiesa a partire dal principio dell'"arricchimento della fede". Nel contesto della recezione degli insegnamenti del Vaticano ii, egli distingueva un arricchimento oggettivo legato in modo particolare all'approfondimento degli insegnamenti del Magistero, e uno soggettivo riferito a "tutta l'esistenza dell'uomo credente che fa parte della Chiesa" (Alle fonti del rinnovamento, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1981, p. 20).
Individuare i contenuti precisi della dimensione secolare della Chiesa e della specifica indole secolare dei fedeli laici appare, allora, una strada privilegiata per riconoscere l'arricchimento della fede soprattutto nella sua dimensione soggettiva, cioè, per usare un'altra volta la parola del cardinale Wojtyla, "umana ed esistenziale". Questi contenuti poi saranno inevitabilmente determinati anche dal contesto geografico (sociale, culturale e politico) in cui si trovano a vivere le diverse comunità cristiane. In questo modo la dimensione secolare della Chiesa, già essenziale in sé e per sé, acquista forma storica nella vita delle Chiese particolari sparse nel mondo. Così come all'interno di ogni Chiesa particolare i fedeli laici sono chiamati a vivere la loro specifica indole secolare assumendo le circostanze e le situazioni storiche che li vedono protagonisti.
Per descrivere la dimensione secolare come compito/missione della Chiesa nel qui e ora della storia, mi sembra utile mettere in evidenza due visioni distorte del rapporto Chiesa-mondo che minacciano la pratica concreta delle nostre comunità e, pertanto, incidono sul modo di concepire la missione dei fedeli laici e la loro indole secolare ai giorni nostri.
La prima, che possiamo identificare con l'espressione emblematica di "cripto-diaspora", affonda le proprie radici nell'opposizione barthiana fede-religione. Rinuncia alla dimensione popolare dell'esperienza cristiana, riducendo la fede a una dimensione della persona. Il cristiano deve certo collaborare all'edificazione del mondo, ma per rispettare la purezza della fede la missione cristiana esigerebbe la rinuncia a qualsiasi tentativo di interpretazione culturale, perciò pubblica, della vita di fede. Una tale interpretazione, infatti, ridurrebbe inevitabilmente la fede a religione, tradendone il contenuto proprio. L'annuncio profetico della croce come fattore critico di ogni umana costruzione sarebbe l'unico adeguato modo di vivere la dimensione secolare della Chiesa. Tale tentazione si può più facilmente riproporre in quegli ambiti in cui vivere pubblicamente la fede e l'appartenenza ecclesiale incontra maggiori difficoltà.
Di segno opposto è la visione che riduce la fede cristiana a religione civile o a mero cemento etico. In questo caso l'affermazione dell'inevitabile interpretazione culturale della fede - occorre proprio parlare di inevitabile perché, come ricorda Giovanni Paolo ii, "una fede che non diventi cultura sarebbe non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta" (Discorso al Movimento ecclesiale di impegno culturale, 16 gennaio 1982) - viene confusa con la costruzione di un collante ideologico della società civile che, in realtà, trova il proprio fondamento altrove. Si tratta di una tentazione che può minacciare la vita delle comunità cristiane soprattutto in un tempo come il nostro in cui la vita civile si presenta piuttosto affaticata.
Alla luce di quanto abbiamo finora affermato è possibile riconoscere che né l'una né l'altra visione sono rispettose della dimensione secolare della Chiesa. La prima perché rinuncia a esporsi e assumere fino in fondo il rapporto col mondo come uno dei fuochi dell'ellisse della Chiesa. La seconda perché fa del rapporto col mondo il centro dell'identità della Chiesa perdendo irrimediabilmente di vista l'originario fuoco cristologico.
Per evitare questi due rischi occorre pensare in modo conveniente la dimensione secolare della Chiesa e, conseguentemente, l'indole secolare propria dei fedeli laici. Per farlo è necessario approfondire adeguatamente la rilevanza pubblica della genuina fede cristiana. Né riduzione della nostra fede a etica pubblica, che trasformi l'integrale annuncio cristiano - l'eterno che brilla nel tempo - in religione civile, né fede che rinneghi la religione in nome di più o meno mascherate diaspore "profetiche e critiche".
La Chiesa vive la sua caratteristica dimensione secolare col coraggio semplice di essere Popolo di Dio che attraversa la storia, tutta la storia, testimoniando la bellezza dell'evento integrale di Gesù Cristo che, nella forma della comunione, ci apre alla salvezza eterna donandoci come caparra il centuplo quaggiù.
In questo orizzonte si supera di schianto una teologia del laicato ormai datata che si concepiva come la demarcazione giuridico-formale del ruolo dei laici all'interno della Chiesa, demarcazione oltretutto che rendeva difficile pensare la circolarità dei diversi stati di vita.
La modalità adeguata per assumere la dimensione secolare della Chiesa consiste nella testimonianza di come l'incontro con Cristo investa tutti gli ambiti dell'umana esistenza. In altra sede ho parlato in proposito della necessità di vivere e annunciare i misteri cristiani con tutte le loro implicazioni.
Cosa intendo con l'espressione "implicazioni dei misteri cristiani"? L'idea nasce da una formidabile opera di Henri de Lubac, Catholicisme, che aveva come felice sottotitolo: les aspects sociaux du dogme. I misteri del cristianesimo, come ci ha insegnato lo Scheeben, non identificano il non-ancora-noto, bensì il fondamento vivificante di tutto il reale - in ultima analisi la Santissima Trinità - che si comunica alla nostra libertà finita. Si tratta della fede che pubblicamente professiamo nella comunione della Chiesa.
Quando parliamo di "implicazione" dei misteri cristiani o della fede ci riferiamo a un aspetto contenuto - implicato, appunto - nella fede che non si identifica immediatamente con i contenuti dottrinali dei misteri stessi, ma dal quale, in un certo senso, non si può prescindere. Se parliamo delle implicazioni dei misteri cristiani, la realtà primaria restano i misteri cristiani, ma questi, dovendo essere giocati nel concreto dell'umana esistenza (nella storia) incidono sul modo di concepirsi come uomini, sul modo di concepire la società, sul modo di concepire il rapporto con il creato. Le implicazioni non sono delle semplici "conseguenze" più o meno importanti della fede, ma sono aspetti sempre in essa contenuti in quanto la fede è sempre vissuta dall'unico soggetto Chiesa. Infatti "non esiste la nuda fede o la pura religione. In termini concreti, quando la fede dice all'uomo chi egli è e come deve incominciare a essere uomo, la fede crea cultura. La fede è essa stessa cultura" (Joseph Ratzinger, Cristo, la fede e la sfida della cultura, in Nuova Umanità, 16 [1994] n. 6, pp. 95-118). Ecco perché è necessario parlare di un'inevitabile interpretazione culturale della fede.
Per cogliere la natura propria delle implicazioni è necessario ritornare alla Chiesa come soggetto storico. Infatti è la comunità cristiana come tale ad annunciare integralmente i misteri della fede giungendo fino alle loro implicazioni antropologiche, sociali e cosmologiche. Un tale annuncio, garantito dall'unità del soggetto, si articola nelle diverse manifestazioni dell'azione ecclesiale a opera dei diversi soggetti e dei loro stati di vita. In questo modo, per esempio, la comunità come tale proporrà, attraverso l'azione liturgica e catechetica, i contenuti essenziali della professione di fede. E, nello stesso tempo, richiederà che, attraverso l'impegno libero e responsabile dei fedeli laici giocato secondo le circostanze storiche concrete in cui si trovano a vivere, siano proposte tutte le implicazioni dei misteri. L'annuncio integrale, infatti, necessita delle implicazioni se veramente la fede deve parlare non all'"uomo astratto, ma (a quello) reale, l'uomo concreto, storico" (Redemptor hominis, 13).
Per annunciare le implicazioni dei misteri cristiani come espressione adeguata della dimensione secolare della Chiesa e della specifica indole secolare dei fedeli laici, si dovrà tener conto di questa integralità dell'annuncio. Innanzitutto privilegiando la professione di fede, in un compito che vedrà uniti tutti i cristiani, qualunque sia il loro stato di vita, ma senza trascurare la declinazione storica delle implicazioni, anzi facendo in modo che la professione di fede susciti un lavoro teso a identificare le migliori proposte nell'ambito delle implicazioni.



(©L'Osservatore Romano - 17-18 novembre 2008)

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