martedì 18 novembre 2008

Santa Elisabetta d'Ungheria patrona O.F.S. (la sua festa è stata ieri lun 17 nov.)

Elisabetta d'Ungheria nelle fonti documentarie del Duecento

La principessa che rinunciò alla corona


di Silvia Guidi

Sua madre - Gertrude di Andechs-Merano, una discendente di Carlo Magno - venne uccisa da una congiura di palazzo quando lei aveva solo sei anni, suo padre, il re di Ungheria Andrea ii, aveva usurpato il trono del fratello maggiore Emerico - usando a questo scopo i fondi che gli erano stati affidati per organizzare una crociata in Terra Santa - il suo confessore, Corrado di Marburgo, verrà assassinato poco dopo la sua morte, suo figlio primogenito Ermanno morirà all'età di diciotto anni, avvelenato dallo zio Enrico di Raspe, che ambiva alla corona della Turingia; la vita di santa Elisabetta d'Ungheria spicca per contrasto e appare ancora più singolare e luminosa se si delineano meglio i contorni del contesto cupo e sanguinario in cui è nata e vissuta.
Due famiglie reali, la propria e quella del marito, il langravio di Turingia, Assia e Sassonia Ludovico iv; due regge, il castello di Sárospatak, alle falde dei Carpazi dove è nata e il castello di Warburg in Turingia dove ha vissuto gran parte della sua vita, più simili alla Elsinore di Amleto o al regno sconvolto dalle guerre fratricide di re Lear che ai sereni colori pastello dell'affresco del buon governo di Ambrogio Lorenzetti a Siena. Santa Elisabetta d'Ungheria (Padova, Edizioni Messaggero, 2008, pagine 692, 37 euro) a cura di Lino Temperini, francescano del Terzo Ordine secolare, giornalista e docente alla Pontificia Università Antonianum, offre al lettore una biografia essenziale della santa, ma soprattutto un'ampia rassegna di fonti storiche del Duecento, per la prima volta tradotte integralmente in italiano: dalle lettere di Federico ii - una missiva a Corrado di Turingia sullo stato patrimoniale dell'ospedale San Francesco a Marburgo e un'epistola a frate Elia, ministro dell'Ordine dei frati minori - agli atti del processo di canonizzazione, integrati dai compendi degli agiografi più antichi. Ci sono anche i testi dei due uffici liturgici dedicati a santa Elisabetta, Gaudeat Hungaria e Laetare Germania e documenti contemporanei o appena successivi alla sua morte - come i Detti delle quattro ancelle - che ci permettono di recuperare qualcosa del volto autentico di Elisabetta e della sua vita quotidiana, dall'infanzia alla prima giovinezza.
Non oltre, visto che la principessa di Turingia, prima penitente francescana assurta all'onore degli altari, è morta a soli 24 anni, il 17 novembre del 1231, al termine di una vita breve ma eccezionalmente intensa, ancorata alla preghiera e alla contemplazione ma travolta da prove di ogni tipo e continui rovesci della sorte; all'età di quattro anni viene promessa in sposa al langravio di Turingia e consegnata alla famiglia del futuro marito per prepararsi al suo futuro di regina, prima delle nozze rischia più volte di essere ripudiata dai suoceri, che le preferirebbero un'alleanza politica e dinastica più vantaggiosa, dopo la morte prematura del marito viene cacciata dal castello di Warburg e costretta a rifugiarsi con i tre figli piccoli in una stalla, vittima prima dell'odio e del disprezzo della corte, che la considera una pazza pericolosa, scialacquatrice dei beni del tesoro reale in "inutili" opere di carità, poi delle attenzioni interessate della sua famiglia d'origine, che cerca per lei un nuovo partito, più ricco e influente del primo, per rafforzare il potere del già vasto e potente regno di Ungheria.
Elisabetta non cede alla disperazione e non si piega alla ragion di Stato, rinuncia al lusso e ai privilegi della vita di corte per condividere la miseria estrema dei suoi poveri. Cosa che aveva già iniziato a fare, per quanto permesso dal suo ruolo, anche prima di restare vedova, temendo di cedere alla tentazione di dimenticare Dio quando la sua felicità familiare sembra perfetta: nei primi anni del matrimonio ama riamata suo marito, dà alla luce tre figli, assicurando la successione al trono alla discendenza di Ludovico, è amatissima dal popolo che soccorre con elemosine e cura allestendo dispensari e ospedali da campo in tempo di carestia. Anche quando sembra avere tutto - ricchezza, bellezza, potere - Elisabetta non si accontenta di una felicità "provvisoria" e appena può lascia i suoi abiti preziosi per indossare la veste grigia francescana. Fin da bambina ha sempre sentito il bisogno di togliersi la corona prima di entrare in chiesa, come gesto di rispetto di fronte all'unico vero re del mondo.
Le cronache duecentesche, quando non sono irrigidite da stilemi narrativi convenzionali o non assemblano sequenze di passi scritturali che descrivono il prototipo della donna virtuosa, riportano con freschezza episodi della sua vita che mettono in luce l'instancabile carità di Elisabetta ma anche la profondità e la delicatezza dell'amore che Ludovico nutriva per lei. Nelle loro testimonianze le inservienti Guda e Isentrude parlano di una vita matrimoniale non facile in cui momenti di tensione - il celebre miracolo delle rose, in cui i pani nascosti sotto il mantello per essere distribuiti ai poveri si trasformano in fiori, risparmia a Elisabetta i rimproveri del consorte e le accuse di eccessiva prodigalità - si alternano a gesti di grande tenerezza.
Il marito le tiene la mano quando si sveglia a pregare di notte, finge di dormire quando le ancelle vengono a chiamarla prima dell'alba per la recita del Mattutino, si preoccupa che non prenda freddo nelle lunghe ore che passa inginocchiata nella cappella di palazzo. A volte è spaventato dal fervore della consorte, ma resta contagiato dalla sua fede; il regalo di fidanzamento, che la principessa di Turingia conserva tra i suoi tesori più preziosi, è uno specchio con un crocefisso istoriato sul retro. Ludovico morirà a Otranto a 27 anni, mentre guida le truppe tedesche verso la crociata; un anno dopo Elisabetta si consacra interamente a Dio e abbandona definitivamente la corte.
La venerazione per la santa, tanto simile a Francesco d'Assisi nel vivere la povertà radicale consigliata dal Vangelo, è continuata ininterrotta nel corso dei secoli. Nei cicli pittorici, come nelle vetrate nella splendida basilica gotica a lei dedicata a Marburgo, viene raffigurata con i costumi tradizionali dei principi magiari, mentre nasconde sotto il mantello un fascio di rose, o con l'abito grigio delle terziarie.
Meno frequente - ma comunque presente su arazzi, reliquiari e oggetti d'uso comune - l'iconografia che la rappresenta con in mano le tre corone di sposa, madre e consacrata. La grande carità di Elisabetta, che ha suscitato l'ammirazione e la venerazione dei contemporanei - tanto da essere proclamata santa da Papa Gregorio ix a solo quattro anni dalla sua morte - ha esercitato un'attrazione particolare sugli artisti.
Due grandi musicisti dell'età romantica, Franz Liszt e Richard Wagner, hanno tratto ispirazione dalla sua vita; Wagner ambienta il Tannhäuser, una delle sue opere più celebri, proprio, nel castello di Warburg. Il protagonista, il trovatore Tannhäuser, è attratto dal paradiso artificiale del Venusberg, il mondo pagano di Afrodite, desidera il Paradiso ma non ha il coraggio di incamminarsi lungo la strada tracciata per raggiungerlo.
La salvezza arriverà, non grazie ai suoi buoni propositi o ai suoi sforzi etici, ma all'amore della sua fidanzata - che si chiama, non a caso, Elisabetta - disposta a dare la vita per lui; il misterioso intervento della Grazia viene preannunciato già nella celeberrima ouverture, in cui Wagner riesce a stemperare l'angoscia e i confusi desideri del singolo nell'abbraccio pacificante dell'Essere.
Franz Listz, di origine ungherese, cattolico e terziario francescano, aveva dedicato alla biografia della santa un oratorio famoso, composto dopo aver visto gli affreschi del pittore austriaco Moritz von Schwin. L'oratorio venne dedicato al re di Baviera, ma non fu eseguito per la prima volta nel castello di Warburg, come si afferma di solito; otto giorni prima venne rappresentato a Pest, con un libretto in ungherese per celebrare il venticinquesimo anniversario della fondazione del Conservatorio locale. Liszt, che aveva da poco preso gli ordini minori, assistè al debutto indossando il saio francescano.



(©L'Osservatore Romano - 17-18 novembre 2008)

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