lunedì 10 novembre 2008

Tra Hamas e Al Fatah quale possibile Palestina

Rinviato il vertice in Egitto

di Luca M. Possati

Costruire ponti laddove le distanze e le incomprensioni sembrano irreparabili: per la politica mediorientale è la normalità. Lo sanno bene i rappresentanti dei quindici gruppi palestinesi - i tredici laici dell'Olp e i due islamici - che domenica 9 novembre avrebbero dovuto incontrarsi al Cairo per discutere le possibilità di una riconciliazione. Ventiquattro ore prima dell'apertura del vertice, dopo l'annuncio del boicottaggio da parte dei dirigenti di Hamas a Damasco, l'Egitto ha annullato l'incontro. È un chiaro segno di come per i palestinesi la strada verso la pace e l'unità sia ancora molto lunga.
A pochi mesi dalla scadenza del mandato del presidente dell'Autorità palestinese (Ap), Abu Mazen, la frammentaria leadership divisa tra Gaza e Cisgiordania non riesce a decidere quale futuro costruire per il bene di quel popolo che dice di rappresentare, evitando il rischio di farsi manovrare da interessi esterni. Le incognite sono tantissime. In un periodo caratterizzato dalla mancanza di figure carismatiche, è ancora possibile mettere in piedi una vera rappresentanza politica per i palestinesi? Oppure - come sostengono molti analisti - una tale carenza è favorita da altre parti, funzionale agli interessi di altri Paesi? Cosa comporterebbe per l'Olp un'eventuale apertura al dialogo con Hamas nelle trattative con Israele? E cosa soprattutto per i disperati della Striscia di Gaza?
È passato quasi un anno da quando, martedì 22 gennaio 2008, esplose con violenza la collera di centinaia di abitanti di Gaza stremati dall'embargo israeliano. Grazie all'aiuto dei bulldozer di Hamas la folla riuscì a sfondare la barriera di confine nei pressi del valico di Rafah e si riversò in territorio egiziano alla ricerca di medicinali e di cibo. Sessanta feriti, sanguinosi scontri con la polizia, ma per molti palestinesi fu il miraggio di una vita normale. Nella sua drammaticità quell'episodio rivelò la divisione che ancora oggi caratterizza Gaza: da un lato gli estremisti - la cosiddetta "generazione Qassam" - il cui principale fattore di identificazione e coesione è l'odio per Israele, l'ideale della resistenza; dall'altro le persone, che a Gaza non combattono ma vivono, o cercano di sopravvivere.
Se dai prossimi vertici uscirà un solido e duraturo accordo, nessuno può dirlo. Messaggi di riconciliazione tra Al Fatah e Hamas ci sono già stati in passato attraverso lo Yemen o l'Egitto. Nel febbraio 2007, grazie alla mediazione dell'Arabia Saudita, le due fazioni avevano raggiunto un accordo alla Mecca, dal quale uscì per un breve periodo un Governo di unità nazionale. Tuttavia, l'accordo - descritto dalla stampa araba e internazionale come un grande successo diplomatico saudita - non durò a lungo. Il 14 maggio 2007, dopo che il ministro degli Interni, Hani Kawasmeh, si dimise riconoscendosi "privo di ogni autorità", gli scontri ripresero con rinnovata cruenza.
Come sostengono gli studiosi più accreditati, le radici dello scontro tra Hamas e Al Fatah sono molto profonde. Il primo si è sempre caratterizzato per aver saputo dare della propria leadership un'immagine caratterizzata da onestà e integrità, e per il notevole impegno umanitario a Gaza, con la fondazione di scuole, istituti assistenziali e l'organizzazione di forze di sicurezza. Il secondo, forza maggioritaria nell'Olp e nell'Ap, ha invece pagato nel tempo il progressivo fallimento de facto degli accordi di Oslo e le ripetute accuse di corruzione, nepotismo, scarsa trasparenza e incapacità amministrativa rivolte alla propria classe dirigente. Inoltre, il Governo Ap presieduto da Yasser Arafat - fondatore di Al Fatah - è stato a lungo oggetto di critiche da parte dei media occidentali per non aver saputo contrastare efficacemente le azioni terroristiche e il traffico di armi nei Territori. A tutti questi fattori si è unito il diffuso malessere della popolazione, il peggioramento delle condizioni di vita, l'aumento della disoccupazione, la miseria dilagante.
Dopo l'uccisione - per mano israeliana, dicono gli osservatori - del fondatore di Hamas, Hamad Yassin, il 22 marzo 2004, e del suo sostituto Abd El Aziz Rantizi, il 17 aprile 2004, la guida del movimento islamico passò sotto il controllo della sua dirigenza all'estero, e precisamente a Kaled Meshaal, in esilio a Damasco, che lo rafforzò notevolmente attraverso speciali rapporti di collaborazione con gli Hezbollah libanesi e con l'Iran. Circa due anni dopo - il 25 gennaio 2006 - alle elezioni per il rinnovo del consiglio legislativo dell'Ap - il parlamento con sede a Ramallah - Hamas ottenne una larga vittoria conquistando 76 seggi contro i 43 di Al Fatah, il partito del presidente in carica Abu Mazen. Il 29 marzo dello stesso anno, all'indomani della nascita del primo Governo palestinese di Hamas guidato dal primo ministro Ismail Hanyeh, Israele, Stati Uniti, Unione europea e molte altre nazioni occidentali e arabe imponevano sanzioni, sospendendo tutti gli aiuti. Tuttavia, nonostante il blocco, Hamas riuscì a mantenere il controllo dei Territori, sostenendo i servizi di base di salute ed educazione. Da parte sua, Al Fatah conservò per un periodo il controllo della maggior parte dell'apparato di sicurezza. Ma fu per poco.
Il periodo da marzo a dicembre 2006 fu marcato da tensioni e da numerosi omicidi di leader dei due movimenti. Tensioni che si inasprirono poco per volta, fino a esplodere definitivamente a causa del fallimento dell'accordo per la spartizione del potere. Quando, il 15 dicembre 2006, Abu Mazen convocò elezioni anticipate, Hamas lo accusò di tentato golpe, sostenendo che il successore di Yasser Arafat usava metodi non democratici per sovvertire i risultati di un Governo eletto democraticamente. Da quel momento si scatenò una pesante escalation di violenza che durò mesi - da dicembre 2006 al giugno 2007 - e nella quale - dicono fonti palestinesi - furono uccisi oltre 600 palestinesi.
Oggi - dopo i numerosi tentativi di riconciliazione - Hamas e Al Fatah cercano faticosamente di ripartire dalla proposta egiziana che prevede la costituzione di un Governo provvisorio con l'obiettivo di preparare le elezioni presidenziali e legislative, la riforma dei servizi di sicurezza e della struttura dell'Olp. Obiettivo immediato è quello di mantenere la tregua a Gaza, evitare che la recente escalation di violenze degeneri.



(©L'Osservatore Romano - 9 novembre 2008)

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