mercoledì 19 novembre 2008

Un grande uomo e un grande pedagogo: chi fu Giulio Salvatori

La lezione di Giulio Salvadori

L'Italia si cambia
sui banchi di scuola


Nell'ambito delle celebrazioni per l'ottantesimo anniversario della morte di Giulio Salvadori si è svolta a Monte San Savino (Arezzo) una conferenza dedicata a come il letterato aretino affrontò il problema del rapporto tra educazione e società. Ne pubblichiamo un estratto.

di Renata Lollo
Università Cattolica del Sacro Cuore

Alla fine dell'anno scolastico 1884-1885, Salvadori lascia Ascoli, con l'animo mutato, effettivamente raggiunto da una personale esperienza di Dio. Decide di ritornare a una integrale pratica religiosa, di dedicarsi a una testimonianza di vita laica, e, conseguita la laurea, di impegnarsi a fondo nell'insegnamento, nella ricerca e in un'umile e diuturna attività in favore del prossimo, mai separata dalla costante preghiera e da un distacco da tutto quanto potesse ostacolare il cammino interiore.
Non è il caso qui di ricordare l'incomprensione e il dileggio di letterati e scrittori, dalla Serao al Carducci, a Mazzoni e ad altri della "Cronaca Bizantina" di fronte alla serietà del suo cambiamento. Salvadori sapeva che avrebbe dovuto affrontare non poca solitudine. Ma gli è vicina la famiglia, e dall'8 agosto 1885 la direzione del padre somasco Lorenzo Cossa, di intensa tempra sacerdotale lo aiuterà a mantenere i difficili equilibri delle sue generose scelte.
Che cosa accresce la conversione alle caratteristiche appena delineate della sua attività di docente attento all'educazione dei giovani? Si nota da subito una crescita di umiltà. Il docente di Albano (1885-1890) non modifica nessuna regola formale, continua a educare, come sempre, istruendo, ma sente più impegnativo quello che si potrebbe definire modernamente "il volto dell'altro", testimone della Presenza e al quale a sua volta testimonia la vicinanza di Dio. E proprio in questi approfondimenti spirituali sente che l'arte ha un valore di rivelazione e non può più essere una chiusura estetizzante sulle proprie emozioni. Significa già portare all'interno dell'istruzione uno scarto interpretativo che può offrire strumenti di crescita alla persona in contatto con la cultura letteraria vista non solo nei dati filologici ma negli aspetti comunicabili della sua bellezza.
Salvadori aveva forte propensione per questo modo di procedere: non a caso fin da giovane prediligeva gli stilnovisti e la cultura francescana che poi, anche per la via personale della conversione e delle scelte successive, avrebbe confermato l'importanza dell'arte e della bellezza nell'appressamento a Dio.
In questo senso, insieme all'attività scolastica, Salvadori non abbandona la composizione poetica, i contatti umani, pur scegliendo sempre per sé la croce, senza altra consolazione. Esce nel 1899 il Canzoniere civile, opera che vede Salvadori, al dire di Carlo Calcaterra, "splendere come una lampada, sopra gli stessi formalismi stilistici".
Dal 1890, Salvadori viene trasferito al liceo Mamiani di Roma, dove rimarrà fino al 1899. Di lui insegnante, convinto ormai che il problema educativo fosse il più importante problema sociale, dice con acutezza, al di là di un certo lirismo, Severino Monticone: "L'abitudine della gentilezza e della signorilità nel tratto e nei modi (...) egli la manteneva soprattutto nella scuola. In essa preferiva ciò che importa ad utilità dei giovani a quello che brilla a lode del professore. (...) Amava confondere il proprio lavoro col loro, era felice di porre al servizio dei loro studi esperienze e ricerche sue di cui non era affatto geloso".
Anche fuori della scuola, le sue idee educative si rafforzano. Terziario francescano nel 1893, Giulio Salvadori aveva fondato dal 1894 insieme a Dora Melegari, Antonietta Giacomelli, padre Giovanni Genocchi e padre Giovanni Semeria, Antonio Fogazzaro, Paul Desjardins e Paul Sabatier un'associazione dal titolo "Unione per il bene", mirante "al rinnovamento morale della nostra patria", sostenuta da un giornale mensile di collegamento intitolato "L'Ora presente". Proprio su questo periodico escono nell'agosto del 1897 questi pensieri, il cui spessore educativo non può essere certo sottovalutato: "La parola deve essere pane di cui in qualche modo le menti si nutrano e vivano; e il pane noi dobbiamo dare ai nostri alunni, non solo indicare disgregati gli elementi chimici dei quali il pane si compone e il modo col quale il pane si fa: scienza senza sostanza, che li lascia con pensieri vani, affaticati, famelici".
L'attività scolastica non era dunque l'unica nella quale si articolava la sensibilità educativa di Salvadori. Gli studi classici (si pensi a Virgilio) e via via nel tempo gli approfondimenti su Manzoni, Tommaseo non meno che sulle figure significative della Riforma cattolica lo abituavano a coniugare, francescanamente, obbedienza e libertà, ma anche coraggio e umiltà, appartenenza alla Chiesa e rispetto davvero ante litteram per cammini interiormente difficili (a cominciare dal fratello Olinto, professore di filosofia) come quelli di amici assai provati dalla controversia modernista o come altri di studiosi come Sabatier, protestanti o ebrei come Saul Israel, che lasciò di lui un ricordo commosso. Da queste relazioni si percepisce un approfondimento del suo concetto di educazione che mira a costruire convivenza civile fondata sulla giustizia attraverso un'attività umile ma strenuamente perseguita. Ne possiamo vedere qualche traccia più precisa nel periodo in cui la sua vita subisce un'ulteriore modificazione: il passaggio dall'insegnamento liceale alla docenza di Stilistica, per incarico, alla università La Sapienza, negli anni che vanno dal 1902 al 1910.
Se l'attività universitaria gli fa approfondire l'educazione dei giovani attraverso una disponibilità ad ascoltare e consigliare dai tratti anche talvolta paterni, solitamente apprezzati da chi ha serbato di lui fedele memoria, le amicizie che l'epistolario documenta mostrano in lui non solo il convinto rispetto dell'altro, delle sue opinioni e delle sue opzioni fondamentali, ma anche sorprendenti aperture ecumeniche, così chiare in lui da diventare parola educativa proprio nel contesto degli anni del modernismo in cui fu incrollabile la sua obbedienza alla fede di Pietro. Scriveva nel 1904 all'amico ortodosso Giovanni Belosersky: "La Chiesa, come la sento e com'è, è veramente universale, e comprende non solo quelli che vivono nell'ovile dove le chiavi della porta ha il Pontefice romano, ma anche tutte le pecorelle che non appartengono a quell'ovile, ma sono d'un solo cuore con quelle perché mosse da uno stesso Spirito (...) Quindi nulla di più anticattolico che l'odio dei protestanti o degli scismatici, quantunque si riconosca quel che manca agli uni e agli altri nella verità, perché quello che più importa è la vita; e tra gli scismatici dei suoi tempi Gesù scelse la figura del samaritano che amò veramente il suo prossimo e pagano era quel centurione che gli disse: "Signore, non son degno che tu entri sotto il mio tetto; ma di' solamente una parola e il mio figliolo sarà guarito"".
Con questo spirito l'"Unione per il bene" aveva saputo avvicinare ed educare persone di differenti ceti sociali, cultura ed esigenze personali non solo a una fattiva carità ma anche a una presa di coscienza dei collegamenti concreti tra la fede e la giustizia, la mitezza francescana e il non adeguamento ai compromessi quando si dovesse difendere il più debole, tra l'obbedienza alla Chiesa e l'assenza di spirito persecutorio. Ma se nel 1897 finisce l'"Unione per il bene", non viene meno l'interesse salvadoriano per un'azione del laicato nella società, legata al lavoro prima di tutto e all'azione fattiva, tanto che allo stesso Giovanni Belosersky in una lettera del 18 febbraio 1897 esprime opinioni sulla ricerca sociale di Giuseppe Toniolo. Sono tutti semi educativi (come questo di una lettura cristiana dei problemi sociali, nella rara ed eletta compagnia di Contardo Ferrini e, appunto, di Giuseppe Toniolo) che hanno fruttificato lentamente, in una lunga oscurità, ma in cui si può ancora studiare la forza creativa del professore sempre attento a misurare la pratica cristiana in rapporto non all'estetismo sentimentale ma all'accettazione senza infingimenti della vita concreta.
Si deve dare forzatamente meno spazio ad altre iniziative come la richiesta di Pio x al docente di Letteratura italiana perché riguardasse la stesura italiana del Catechismo di Pio x usato inizialmente nella diocesi di Roma ma poi esteso in altre diocesi e normalmente conosciuto nella pratica cristiana preconciliare. Ma va detto che non si sarebbe arrivati a questo riconoscimento se Salvadori non avesse curato anche la stesura di Lezioni sul Vangelo e attuato momenti di insegnamento della religione cristiana in spazi concessi (Palazzo Altieri a Roma) che suscitavano consenso e contrasti nello stesso tempo. Sull'insegnamento della religione a scuola gli orientamenti anche in area cattolica erano variegati e tanto più complessi se le ipotesi riguardavano anni diversi del curriculum scolastico. Come è noto, la riforma Gentile introdurrà per motivi intrinsecamente collegati alla filosofia del ministro l'insegnamento della religione cattolica nella scuola elementare. Prudente e significativo il riserbo salvadoriano.
Negli anni sofferti fra il 1910 e il 1917, la declinante salute vede il docente aggravato dal ritorno al Liceo Tasso dopo la mancata successione a Bologna sulla cattedra di Pascoli (1912) e la soppressione a Roma della cattedra di Stilistica. La riavrà, per pochi anni dal 1917 al 1923. Ma è più importante seguirlo nel periodo più difficile da valutare da un punto di vista educativo, quello della guerra mondiale. L'estrema gravità dell'evento e nello stesso tempo la grande fragilità della sua salute, accentuata anche dalla prova di recenti lutti familiari, sembrano riportarlo a una certa incapacità di comprendere l'evento proprio negli aspetti di realismo e concretezza che non potevano essere sottovalutati. La posizione salvadoriana vede nella guerra un luogo di richiamo a valori profondi di fede e di moralità: le pene belliche sono in qualche modo un castigo che chiama tutti a una vita migliore, a far vivere un'"umile Italia" che costruisce la propria identità a partire da una comune fede altruistica e da un impegno a resistere nell'incrollabile dovere là dove ciascuno è chiamato a operare.
Non sarebbe generoso e finirebbe per essere poco comprensivo trattare da utopie le sue affermazioni, coerenti con tutta la ricerca anteriore. Il punto debole, riconosciuto per la verità da più parti, è la strenua difesa del generale Cadorna "letto" tramite anche la conoscenza personale della figlia Carla, del quale non si mette in discussione nulla in nessun momento della vita salvadoriana almeno come questa si lascia conoscere attraverso le lettere esistenti. Non troviamo niente in Salvadori delle obbedienze spietate richieste ai soldati dalle lezioni militari di Luigi Russo (1917), ma certo un istintivo adeguamento a scelte di ufficiali, che sono anche persone care, appare più scoperto, come è scoperta, all'opposto, la paura dei sovversivi. Si può tuttavia imparare anche dalle sue discutibili opzioni a conservare libertà di spirito e un coraggio mai definito una volta per tutte.
Negli ultimi anni, mentre sembra che con il 1923 l'università La Sapienza gli sia definitivamente preclusa con la soppressione inappellabile della cattedra di Stilistica, Giulio Salvadori riceve la chiamata dall'Università Cattolica del Sacro Cuore, fondata nel 1921 da padre Agostino Gemelli. Vicinanza francescana, certo, ma anche quanti cambiamenti per lui e per il sodalizio familiare! Il Papa Pio xi invita Salvadori ad andare a Milano e questi parte con la sorella Giuseppina. Disagio dei primi tempi, salute precaria, morte del fratello sacerdote Enrico, rimasto a Roma, nel 1924 in maniera inaspettata. Ma Salvadori crede nella Cattolica e vi si inserisce, silenziosamente e con decisione; ordinario dal 1925, prepara con ordine i suoi corsi e scrive poesie per bambini su un periodico interno vicino all'Azione Cattolica dal titolo di Fiamma viva. Studia ancora e scrive lasciando su ogni pagina una impronta personale che secondo qualcuno disturba quasi come una specie di rinuncia all'obiettività critica. Non se ne cura troppo, si tormenta invece per i suoi studenti che hanno problemi, per le sue idee che vorrebbe portare a compimento. È poverissimo, tutto quello che ha finisce in beneficenza. Ma vuole ancora preoccuparsi delle suore calasanziane e della loro fondatrice suor Celestina Donati, che a Roma, nel quartiere di Primavalle, già avevano accolto nei loro spazi figlie di carcerati. Pensa che una struttura del genere debba esistere anche a Milano. Sembra una scelta in qualche modo normale per lui ma è pedagogicamente più profonda di quanto possa sembrare. La congregazione femminile calasanziana era nata di recente proprio per dare asilo e istruzione alle figlie dei carcerati. C'era nella loro scelta una forte sottolineatura: che le figlie dei carcerati potevano vivere e crescere senza onta perché innocenti e senza disagio perché non erano portatrici di tara ereditaria. Non tutti la pensavano come loro e anzi, dietro le conclamate affermazioni di Cesare Lombroso che vedeva nei figli dei carcerati dei votati all'erranza, non erano pochi a rifiutare l'educazione a queste persone. Con le calasanziane si schiera Salvadori e anche a Milano mette in opera la sua influenza perché si raggiunga l'obiettivo di una stabile istituzione in favore delle figlie dei carcerati. Essa vedrà la luce dopo la morte di Salvadori e tuttora esiste a Milano con il nome di lui integrato nella denominazione ufficiale dell'istituto.
Così, con una scelta che non manca di lacune ma che vuole sottolineare un'originalità, possiamo ricordare Salvadori non solo per il bene e la cultura vissuti e testimoniati nella fede, ma anche per aver mostrato preferenza per le persone non integrate in comuni schemi concettuali, così da acquisire non solo un accrescimento di stima, ma anche un suo piccolo spazio nell'ambito della pedagogia speciale.



(©L'Osservatore Romano - 20 novembre 2008)

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