domenica 16 novembre 2008

Vaticano - A sessant'anni dall'entrata in vigore della Costituzione italiana

Etica, diritto e politica
Triade da non dimenticare


di Giulia Galeotti

Si è concluso ieri il convegno promosso dall'ufficio della pastorale universitaria del Vicariato di Roma (sotto il patronato del Presidente della Repubblica e in collaborazione con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca), dedicato alla Costituzione repubblicana nel sessantesimo anniversario dalla sua entrata in vigore.
Nella tre giorni di lavori itineranti tra Campidoglio, Pontificia Università Lateranense e Università di Roma Tre, a riprova dello scambio scientifico tra le istituzioni coinvolte, oltre cento docenti universitari provenienti da tutta Italia e da differenti discipline - giuristi, filosofi, storici, politologi, economisti e medici - si sono confrontati sui fondamenti e sui valori enunciati dalla Carta del 1948 alla luce della realtà odierna.
Sono, del resto, le problematiche attuali, il più delle volte nuove e inaspettate, che impongono un'attenta e coraggiosa riflessione sul patrimonio di principi condivisi su cui si regge la nostra democrazia.
Se per il costituzionalismo liberale l'obiettivo principale delle Costituzioni doveva essere quello di predisporre le opportune garanzie a beneficio del singolo dinanzi allo strapotere del sovrano, successivamente i testi fondamentali hanno visto allargare sostanzialmente i loro obiettivi, arrivando a includervi anche la predisposizione di un disegno sociale che avrebbe dovuto reggere la vita della comunità.
Tale ampliamento si è in particolare prodotto in quei Paesi in cui le Costituzioni, per definizione fonti stabili di diritto, sono state emanate a seguito di profondi e dolorosi sconvolgimenti politici e sociali. È sicuramente questo il caso dell'Italia, la cui Costituzione venne promulgata all'indomani di un ventennio di dittatura e dopo un conflitto bellico che aveva ulteriormente dilaniato gli individui, colpendoli sia nella loro quotidianità materiale che nei loro valori di riferimento. Probabilmente anche per questo, la Carta fondamentale è risultata un testo esemplare nella sua capacità di enunciare diritti fondamentali della persona e del cittadino basati su un'etica condivisa. Tutto ciò è stato reso possibile grazie al faticoso e attento lavoro d'incontro e di mediazione tra ideologie e posizioni anche molto differenti tra loro, sforzo che le donne e gli uomini eletti all'Assemblea costituente nel giugno 1946 seppero affrontare con rigore e senso di responsabilità (Vittorio Foa amava ricordare come quelle riunioni, pur essendo di "un'agitazione tremenda", fossero però pervase da un'atmosfera di reciproco rispetto).
Ed è importante ricordare che se l'ambizioso programma di costruire un nuovo progetto civile riuscì, lo si deve certamente anche al prezioso contributo fornito al dibattito dal pensiero giuridico cattolico che nella delicatissima fase di rinascita democratica seppe mettere costruttivamente in campo la sua lunga tradizione sociale e civile.
A sessant'anni da quella entrata in vigore, però, occorre interrogarsi sulla capacità di quel testo di essere ancora attuale. Nel frattempo, infatti, tutto sembra assolutamente cambiato: rispetto ad allora sono profondamente mutate le categorie sociali, i luoghi di confronto e di dibattito, i partiti, le relazioni intime e personali, il significato quotidiano di concetti come laicità ed eguaglianza, salute e medicina, la collocazione del Paese non più ristretto ai soli confini nazionali, producendo mutamenti che sembra stiano arrivando a investire le nozioni stesse di diritti, doveri e responsabilità reciproche.
Divisi in quattro sezioni parallele - "La Persona e la sua dimensione sociale", "Le Istituzioni e la società"; "Cultura, ricerca scientifica, educazione", "Economia, lavoro e contesto di vita" - i numerosi relatori hanno affrontato nodi attuali legati a lavoro, economia, medicina, educazione, ambiente, scienza e libertà, pace e debolezza, mettendo costantemente in rapporto tra loro valori costituzionali, principi condivisi ed etica.
Così, per fare un esempio, si è ribadito come lo scopo del diritto del lavoro (e del giurista che vi si dedica) debba improrogabilmente essere quello di privilegiare soluzioni fondate sulla tutela di valori che non possono né debbono essere meramente economici, ma che è necessario chiamino in causa equità, solidarietà, sicurezza e dignità. Prospettive queste che, sebbene enucleate dalla Costituzione, debbono però essere costantemente rivitalizzate, onde dare nuova linfa vitale alla convivenza civile.
È stata quindi ribadita, da diverse prospettive, la necessità di un circolo virtuoso tra etica, diritto e politica, una triade che non dovrebbe mai permettere l'entrata in scena di visioni univoche, capaci solo di produrre dogmatismi e schematismi sterili.
Innanzitutto, per il tramite della Costituzione, il diritto ha ancora oggi una missione cruciale da svolgere in tutti i campi che riguardano la quotidianità delle persone e delle istituzioni: è una responsabilità che va esercitata innanzitutto verso i più deboli e indifesi, di quanti cioè necessitano della cura, dell'aiuto e dell'interessamento altrui, un altrui che non coinvolge solo i singoli, ma anche la collettività e il pubblico.
Sessant'anni fa, a leggerli con attenzione, moltissimi diritti fondamentali vennero già affermati (molto spesso con incredibile lungimiranza). La scommessa di oggi, tutt'altro che facile, deve dunque essere quella di diventare capaci - come singoli e come comunità politica - di proteggerli effettivamente, con fatti, gesti e scelte che necessitano di grande coraggio e senso di responsabilità verso il prossimo.



(©L'Osservatore Romano - 16 novembre 2008)

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