giovedì 25 marzo 2010

Nel 2001 a Roma

Giravo io in bianco e rosso e mia cugina in rosso e bianco, questo me lo ricorda.

sabato 20 marzo 2010

Alex Chilton R.I.P.

E' davvero una notizia triste, solo ieri ho saputo della morte di Alex Chilton, in Italia neanche su un giornale... che vergogna! Paese di ignoranti.
Alex Chilton R.I.P.

Contro chi sputa sui preti - [ Il Foglio.it › La giornata ]

Contro chi sputa sui preti - [ Il Foglio.it › La giornata ]

giovedì 18 marzo 2010

Today I post my semi-favourite poem. Written by Deborah Horton.

 THOUGHT

I thought that it was just as it seemed
everything I wanted all that I had dreamed
all that I had waited for
finally here unlike any before

I thought that every word was true
that no matter what I could trust you
through good times and bad you would always be there
giving me love showing you care

I thought you gave to me all that I gave you
trusted in all that you say and do
everything belonged to you I gave it all and more
believing that this was what true love was for

I thought all this but I learned that I had thought wrong
you were just lying to me and using me all along
to get what you want and have a good laugh on the side
so good with the lies you were able to hide

But now I've thought about walking away
leaving this past moving towards a new day
for there is someone who does love me the way that you should
and this time I'm out of this drama for good

So I hope you have thought about all that you've done
how badly you treated me now that we're done
karma can be such a hard teacher it seems
I wonder what you will have thought when you realize you have no more dreams

...............................................................................



A quick note: check other works by the author and share your feelings on the Deborah Horton - Poetry and Prose site.

martedì 16 marzo 2010

HOW TO POST A LOT OF ZOO ANIMALS

Find babies to feed even if they have been fed. Right click "feed them" and open many windows even from same animal. Then you will get 2 from each baby's post. Then just refresh that page :-)


That's being addicted, leave some time out of facebook, dude!

lunedì 15 marzo 2010

When I was punk

I had to call it quits when the broke my guitar (the only one) and MANY teeth in Bologna. They wanted to me to read Marxist slogans a few times during our set, I say yes but didn't (like the Ramones [to name a known band] we don't stop between a song and the next , plus obviously I would never read those hate driven words).
Funny thing: it was THEM to call the police (although they refer to them using the name of a factory animal, I wouldn't know why). Bologna is in Emilia-Romagna, a Communist Region, so they nearly gave medals to their daddy sons (now everyone of them is a n advocate or a doctor, rest assure).

Oggi guardo le vetrine

Oggi vado a fare window shopping, così le ragazze si rifanno un po' gli occhi.

Vado nella popolare via Roma.
In realtà, da credo quarant'anni, si chiama di nuovo come si è sempre chiamtata: Via Toledo. Furono i piemontesi a cambiarne il nome
Cosicchè oggi un turista dopo aver visto via Roma, vuole godersi via Toledo... e viceversa. LOL

domenica 14 marzo 2010

Quando Paolo scriveva ai Romani

 
    Lo si proclama da ogni parte:  finalmente si legge la Bibbia; la Scrittura è tornata a essere la fonte della teologia e della spiritualità cristiana; la meditazione è diventata contemplazione della Parola. Da qui il pullulare delle scuole della Parola. E questo è certamente un bene, quando significhi un'intima comunione con Colui che è predicato dalla Parola e non comporti il misconoscimento della tradizione spirituale e della letteratura cristiana, che nella Bibbia ha trovato la sua inesauribile risorsa:  la Bibbia come attestazione ispirata e scritta della Rivelazione divina. Ciononostante, avviene di constatare che ci sono testi biblici raramente dimenticati, e quasi oscurati.
    Si pensi, per esempio, ai testi ecclesiologici della lettera agli Efesini:  su di essi si sorvola facilmente e, pure, insegnano che "la Chiesa ha la sua origine nel mistero della provvidenza e predestinazione divine", dal momento che "da sempre Dio (... la) vede davanti a sé e la vuole" (Heinrich Schlier). La Chiesa - secondo la lettera (1, 23) - è "il corpo di lui (Cristo), la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose", mentre più avanti nella stessa lettera Paolo afferma:  "A me (...) è stata concessa questa grazia (...):  illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell'universo, affinché, per mezzo della Chiesa (dià tes ekklesìas, per ecclesiam) sia ora manifestata ai Principati e alle Potenze dei cieli la multiforme sapienza di Dio, secondo il progetto eterno (katà pròthesin ton aiònon, secundum praefinitionem saeculorum) che egli ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore" (3, 8-11). In un terzo versetto (21) si legge:  "A (Dio) la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni e per sempre".
    Non è però sul sorvolo di questi testi ecclesiologici che qui intendo fermare l'attenzione, ma su quello del primo capitolo della lettera ai Romani, che oggi sarebbe attuale rileggere e richiamare, ed esattamente là dove Paolo parla dell' "ira di Dio" "contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia" (v. 18):  uomini, ossia i pagani, che si sono rifiutati di riconoscere e di contemplare le perfezioni di Dio palesi nelle opere da lui compiute, e quindi "non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio" (v. 21).
    Al contrario, presi dai loro ragionamenti vaneggianti, ottenebrati nella loro "mente ottusa" e divenuti stolti - a dispetto della loro pretesa sapienza - essi "hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili" (v. 23). Un antecedente, verrebbe da dire, di quegli atteggiamenti aberranti dei nostri giorni, che trepidano magari per la vita dei cardellini, e sono invece favorevoli alla eliminazione dei bambini nel grembo materno.
    Ed ecco, secondo l'Apostolo, il contrappasso di quel rifiuto di dare gloria e di rendere grazie a Dio:  "Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i propri corpi, poiché hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno adorato e servito le creature anziché il Creatore" (vv. 24-25).
    Paolo si sofferma a precisare ulteriormente la forma di questa "impurità" e di questo disonore riflesso nell'uomo come conseguenza del suo rifiuto di onorare Dio:  "Per questo - scrive - Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura. Similmente anche i maschi, lasciando il rapporto naturale con la femmina, si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi, ricevendo così in se stessi la retribuzione dovuta al loro traviamento" (vv. 26-27).
    La convinzione e l'insegnamento di Paolo sono chiari:  il comportamento omosessuale è variamente definito:  cedimento a "passioni infami"; ignominioso; "rapporto contro natura"; reciproco disonore; manifestazione di una menzogna e di un'inversione della verità; cambiamento che rivela nella condotta una punizione corrispondente e coerente con un traviamento teologico. Osserva ancora Schlier:  "Nella motivazione specificamente teologica del suo rigetto delle perversioni sessuali Paolo non ha predecessori di sorta".
    Gli accenti di Paolo nel dichiarare la condanna divina nei confronti dei rapporti omosessuali non potrebbero essere più forti. E, appartenendo questa valutazione, e questa condanna, all'immutabile Parola di Dio - non soggetta a oscillazioni culturali o mobilità di gusti - chi accolga tale Parola non può ovviamente né metterle in dubbio né proporne modifiche. Tale giudizio e tale disapprovazione fanno parte della fede cristiana, anzi della legge "naturale", visto che Paolo si riferisce alla "natura", e distingue tra "rapporti naturali" riconosciuti da Dio e "rapporti contro natura", da lui invece disapprovati e sanzionati, od oggetto della sua "ira".
    Da questo, tuttavia, non deriva per nulla un'omofobia, avversa o irridente nei confronti delle singole persone; e neppure l'indisponibilità a considerare con rispetto, discrezione e saggia comprensione le concrete e varie situazioni, spesso dolorose e complesse. Conseguono, però, con lampante evidenza, e in rigorosa sintonia con la Rivelazione, una netta dottrina e un incontestabile giudizio. Secondo la Parola di Dio, l'inversione dei "rapporti naturali" (v. 26) è un comportamento "ignominioso", esito di un cuore ottenebrato, di una "intelligenza depravata" (v. 28) ossia del vaneggiamento di una ragione diventata insipiente con la sua idolatria:  un comportamento interpretato come castigo del "disprezzo della conoscenza di Dio", e assolutamente difforme dal "giudizio di Dio" (v. 32) e dal disegno originario del Creatore, che "creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò:  maschio e femmina li creò" (Genesi, 1, 27). Nulla dovrebbe annebbiare o attenuare nella coscienza cristiana questo "giudizio di Dio". Un simile annebbiamento e una simile attenuazione rappresenterebbero una distorsione destinata a colpire l'uomo nella radicale identità.
    La via di soluzione, in qualsiasi circostanza, è quella stessa indicata da Paolo, cioè la via della fede e della grazia, che, risanando la ragione, la riportano a ritrovare Dio nelle creature, a onorarlo, a dargli gloria, a rendergli grazie, e a comprendere quello che è secondo e contro "natura". È come dire che nessun'altra strada è percorribile, se non quella del Vangelo, il cui annunzio, di là da ogni reazione o incomprensione della sapienza, come afferma Paolo, diventata stolta, è la missione incessante della Chiesa.


di Inos Biffi(©L'Osservatore Romano - 14 marzo 2010)

lunedì 8 marzo 2010

Il canto di Tolkien per gli uomini monchi

Sul tema della morte e dell'immortalità nei romanzi dello scrittore britannico

Dal libro La falce spezzata. Morte e immortalità in J. R. R. Tolkien (Milano, Marietti, 2009, pagine 320, euro 22) 
l'Osservatore Romano del 7 marzo 2010 pubblica la sintesi - realizzata dall'autore, Andrea Monda - di uno dei saggi. Eccola qui.

"Di che cosa parla?" è la domanda più semplice che si possa fare di fronte a un romanzo. Ma anche più complicata. È la domanda tipica dei lettori giovanissimi, ma se poi l'opera è anche di qualità si rivela la più complessa a cui rispondere:  se il romanzo - e questo vale anche per un film - è un buon romanzo, l'unico modo per rispondere a quella domanda sarebbe raccontarlo; è quando si riesce facilmente a scindere il "messaggio" dalla storia che c'è da preoccuparsi, potrebbe essere il segnale di una loro reciproca fragilità, se messaggio e storia possono vivere da soli, possono facilmente anche morire da soli. Da questo punto di vista Il Signore degli anelli riceve un'altra conferma della sua raffinata qualità:  alla domanda "di che cosa parla?" non è facile rispondere. Come si può leggere anche negli altri capitoli del presente saggio, è Tolkien stesso che si pone questa domanda per rispondere, a più riprese, sempre allo stesso modo:  della morte e l'immortalità.
In particolare nella lettera che scrive a Rhona Beare il 14 ottobre 1958:  "potrei dire che se il racconto tratta di "qualcosa" (oltre che di se stesso), questo qualcosa non è, come tutti sembrano supporre, il "potere". La ricerca del potere è solo il motivo che mette in moto gli avvenimenti, ed è relativamente poco importante, penso. Il racconto riguarda principalmente la morte, e l'immortalità; e le scappatoie:  la longevità e la memoria". È interessante analizzare quelle che lo scrittore inglese definisce come "scappatoie", la longevità e la memoria. Per Tolkien il suo romanzo tratta essenzialmente "di se stesso", cioè è da prendere sul serio quando dice "ho voluto scrivere una storia avvincente in un'atmosfera e su uno sfondo che io personalmente trovo interessanti".
Non è (solo) il pudore o la modestia che lo spingono a parlare così; è la verità, confermata anche dallo straordinario successo mondiale che ha accompagnato i suoi libri. Di questa storia avvincente il tema centrale non è il potere ma il tema "umano per eccellenza":  la morte e l'immortalità.
A fronte del dilemma, del "bivio" costituito dal binomio "morte/immortalità", l'uomo è portato, istintivamente, naturalmente, a provare angoscia e scappare. Tutto questo, angoscia e fuga, è frutto della confusione creata dal Nemico, cioè della Caduta (altro grande tema sotteso all'intera opera tolkieniana).
Il riferimento diretto qui è quello al racconto biblico e alla dottrina cattolica a cui Tolkien attinge a piene mani, non solo come uomo nella sua vita privata, ma anche inevitabilmente come scrittore.
Le "scappatoie" che interessano a Tolkien sono quelle della memoria e della longevità, che ha voluto rappresentare non solo attraverso l'avvincente trama della storia, ma anche mediante alcune figure, in particolare quelle degli elfi, degli hobbit e dei Numenoreani (gli alleati con Sauron nella seconda Era, Isildur, Denethor e così via fino ad Aragorn, l'ultimo longaevus). Sono tutte figure che corrono il terribile pericolo di "confondere la vera immortalità con la longevità senza limite" ma a tutto questo rispondono altre figure, come quella del citato Aragorn, come quella di Arwen, come quelle degli hobbit Bilbo e Frodo, come Gandalf, i quali riescono, spesso "aiutati" dal misterioso aiuto della Provvidenza, a non cedere alla "scappatoia", ad affrontare la morte accettandola con abnegazione perché essa "non è il Nemico" ma, anzi, un dono del Dio creatore. In fondo la forza di queste persone che superano la morte accettandola, sta nella loro debolezza. Concludendo questo saggio su Tolkien vorrei, quasi in omaggio allo scrittore-filologo che ha inventato nuove parole come eu-catastrofe e sub-creatore, coniare una nuova parola:  "monchitudine". Con questo nuovo (non bello, l'ammetto) termine voglio indicare la cifra poetica di Tolkien, sottolineare il contenuto più squisitamente tolkieniano della sua letteratura. Tolkien canta il fatto che gli uomini sono monchi.
È una condizione questa che emerge spesso nelle sue storie, soprattutto nei racconti del Silmarillion il cui protagonista si chiama Beren il Monco ma anche nel Signore degli anelli il cui protagonista, Frodo, si trova al termine della storia:  senza un dito (Frodo dalle nove dita, così viene ricordato nelle canzoni) e ferito, apparentemente in maniera inguaribile. Gli hobbit sono i "monchi" per eccellenza:  sono i mezzi-cresciuti come dice Barbalbero, sono i Mezziuomini come li chiamano gli elfi. È evidente la forza anche spirituale di questa immagine, la potenza di questa metafora:  nel cuore del xx secolo che inizia con la morte di Dio e l'avvento del super-uomo preannunciato da Nietzsche, ecco che un oscuro scrittore-filologo di Oxford si mette a cantare l'umile grandezza del mezzo-uomo, dei piccoli hobbit della Terra di Mezzo, che vivono nei buchi, nel terreno perché hanno la virtù più grande, cioè più piccola:  l'umiltà, da humus, terreno.
Tutto è dimezzato in Tolkien, anche la terra è "di mezzo", perché nulla sulla terra è (ancora) compiuto, il compimento è al di là, sta per avvenire, è un avvento che ancora non si è realizzato. Per questo non c'è spazio duraturo nella Terra di Mezzo per la pigra malinconia e quella longevità che è solo un disperato "aggrapparsi al tempo".
Riconoscere la propria costitutiva "monchitudine" vuol dire evitare le strade facili e le scappatoie. Chi non vuole riconoscersi monco, ma si riterrà "compiuto", "a posto", allora sarà inevitabilmente portato a essere forte, tiranno verso gli altri, rimanendo debole verso se stesso, cercando per sé le scorciatoie o le scappatoie, che però si rivelano surrogati del vero cammino, che non conducono se non alla perdizione. Con la sua storia avvincente Tolkien ci vuole dire che chi vorrà indugiare nelle scappatoie della longevità e della memoria, senza aprirsi al futuro con umile speranza, senza cogliere la novità che quotidianamente irrompe nella storia degli uomini, sarà destinato ad un'esistenza di rimpianto nostalgico e di amara disperazione.
Non è mai consigliabile applicare etichette agli scrittori, tantomeno se poi l'etichetta è quella pesante e ingombrante di "profeta"; eppure, al termine di questa breve riflessione sul tema della morte e dell'immortalità (e delle loro scappatoie) viene quasi spontaneo pensare che alcuni aspetti della società contemporanea siano stati inconsapevolmente prefigurati dalle suggestioni presenti tra le righe delle storie inventate da Tolkien, in particolare tutti quegli aspetti, che oggi vengono catalogati sotto il nome di "questioni bioetiche".
Se riflettiamo sulle condizioni attuali della vita biologica degli esseri umani (nel mondo occidentale e sviluppato) si può in effetti pensare che per molti aspetti ci troviamo in una situazione simile a quella della Terra di Mezzo:  oggi, grazie ai grandi progressi della scienza e della tecnica medica, la lunghezza della vita è molto aumentata, le malattie sono state in buona parte debellate e il dolore è stato massicciamente ridotto. Tutto questo ha portato a una rimozione degli ultimi tabù rimasti, il dolore e la morte, che non figurano più all'interno del paesaggio umano quotidiano. Fino ai tempi di Tolkien le guerre, le carestie, le epidemie rendevano la morte e la sofferenza presenti in modo pervasivo nella quotidianità delle famiglie degli uomini. Tolkien muore nel 1973 e da allora i tempi sono cambiati molto e molto velocemente, per rendersene conto è sufficiente riflettere sulle questioni (sociali, giuridiche, etiche) che sono emerse negli ultimi anni relativamente al fine della vita:  eutanasia, accanimento terapeutico, testamento biologico. I segnali sono diversi e anche di segno opposto:  si va da un "aggrapparsi al tempo" rifiutando il fatto della morte - è il caso dell'accanimento terapeutico - a un rimuovere lo scandalo del dolore e dell'angoscia con le pratiche eutanasiche.
Viene da chiedersi se Tolkien, di fronte a tali fenomeni, opposti ma di fatto convergenti verso risultati equivalenti, avrebbe usato il termine escapes, scappatoie. Una società di longevi che rimuovono la morte assomiglia molto al mondo descritto da Tolkien nella sua storia avvincente, una società che, inoltre, dominata da mezzi di comunicazione come ad esempio la televisione, vive sempre di più di passato invece di aprirsi alla novità che la vita reale porta con sé. Non c'è dubbio infatti che la televisione offra ai suoi fruitori uno sguardo retrospettivo su ciò che è già avvenuto e non si contano i programmi autoreferenziali in cui la televisione guarda soltanto dentro se stessa.

domenica 7 marzo 2010

lunedì 1 marzo 2010

Se un esorcista in Vaticano scopre di avere molto da fare - [ Il Foglio.it]

Se un esorcista in Vaticano scopre di avere molto da fare.

“Padre Amorth. Memorie di un esorcista. La mia vita in lotta contro Satana” (Piemme)

1 Marzo

The consequence of sin is serious. It brings unhappiness, division, misery, to enter into the life of the Prodigal son when he left his father's house. After living a life of debaucher he experienced he found himself empty and hungry. He was even willing to eat the food of the hogs.

Questo lo dice Rudy Rusli, e accidenti se è vero!